Care Amiche, Cari Amici,
Da giorni giro e rigiro, mentalmente, intorno ad una parola. Questa parola è un verbo. Questo verbo è un verbo riflessivo. Questo verbo riflessivo è riflessivo due volte. Primo perché è un verbo riflessivo, secondo perché dà da riflettere. La parola è...
"Spossessarsi".
Spossessarsi = privare sé stessi del possesso (me lo traduco così).
Possesso = possedere.
Possedere = avere.
Avere. Tutti abbiamo qualcosa. Il corpo, se non altro. Come si fa allora a "spossessarsi"? Non possiamo privare noi stessi di tutto.
Nel nostro dialetto, come in altri dialetti neridionali, "Avere" si dice con un'altra parola: "Tenere". "Io tengo un pezzo di pane", per esempio.
"Tenere" è meglio di "Avere", Dà l'idea del provvisorio. Posso "tenere" una cosa ma non possederla. Posso "tenere" una cosa che non per questo diventa "mia" e poi restituirla perché anche altri la "tengano" per il tempo necessario.
"Avere", invece, è definitivo.
Una cosa del genere deve averla scritta anche Erri De Luca, anni fa e meglio di me. E' bella.
"Spossessarsi" può significare allora arrivare a "tenere" le cose senza "possederle".
Facile a dirsi, più difficile a farsi.
Anche perché "possedere" è l'anima del "Potere".
Il "Potere". Ha sempre bisogno di spossessare altri. Altroché.
Dimentica che non si possiede mai davvero nulla. Persino il nome ci viene "dato". E non ne abbiamo nemmeno l'esclusiva.
Chi crede di "possedere" in realtà "è posseduto". Dal suo desiderio di "Potere". E' dunque colui o colei che ha meno probabilità di uscirne.
"Solo è libero di spirito chi è libero da se stesso per essere libero per la sorella formica, per il verde, per la sorellina cicala, e per i nostri fratelli, che sono i poveri fra di noi" (Leonardo Boff, "Il sentiero dei semplici", Editori Riuniti, 1987, pag. 47).
Sandro Cianci